[testo e foto by Mauri]
"Verità"
La poesia prudente
E gli uomini
Prudenti
Durano
Solo lo stretto
Necessario
Per morire
Tranquilli
[da Il grande, C.B.]
Prendete un bambino e ficcatelo a testa in giù nell’America depressa degli anni Trenta, sputategli addosso un’acne deturpante giunta come un veleno durante la pubertà e perché no un padre tedesco con un paio di orecchie a sventola da primato e la cinghia facile. Accostatelo ad un cortile di una scuola americana per tredici anni e poi immergetelo nel whiskey e in vino da quattro soldi per il resto della vita. Trasformatelo in un vagabondo, puzzolente e dai pantaloni sformati e ridicoli da clown. Fategli imbucare lettere per undici anni e lasciategli frequentare i bar in cerca di un significato al ragno che affoga nel bicchiere. Questo bambino avrà problemi con le donne, i denti marci, la pancia a botticella, gli occhi a fessura, i ricordi brillanti come lame illuminate dalla luna. Al bambino ora manca solo una cosa: trovare il coraggio di sedersi alla macchina da scrivere.
Per Charles Bukowski la prudenza è l’arma che l’americano middle class usa per difendersi dalla vita. Dedicando la sua anima all’arte, Bukowski sceglie la precarietà. L’immersione di questo autore nella cruda follia della realtà è travolgente, lascia storditi, ci violenta.
Per lo scrittore è veramente necessario porsi ai limiti della società descrivendo quest’ultima nella sua disarmante complessità? Per essere considerati Scrittori è quindi necessario abbandonare l’istintiva prudenza sociale proiettandosi in un mondo di opinioni coraggiose?