domenica 4 novembre 2007

Il vecchio Hank mi perdonerà se ho accettato

[testo e foto by Mauri]

"Verità"

La poesia prudente

E gli uomini

Prudenti

Durano

Solo lo stretto

Necessario

Per morire

Tranquilli

[da Il grande, C.B.]

Prendete un bambino e ficcatelo a testa in giù nell’America depressa degli anni Trenta, sputategli addosso un’acne deturpante giunta come un veleno durante la pubertà e perché no un padre tedesco con un paio di orecchie a sventola da primato e la cinghia facile. Accostatelo ad un cortile di una scuola americana per tredici anni e poi immergetelo nel whiskey e in vino da quattro soldi per il resto della vita. Trasformatelo in un vagabondo, puzzolente e dai pantaloni sformati e ridicoli da clown. Fategli imbucare lettere per undici anni e lasciategli frequentare i bar in cerca di un significato al ragno che affoga nel bicchiere. Questo bambino avrà problemi con le donne, i denti marci, la pancia a botticella, gli occhi a fessura, i ricordi brillanti come lame illuminate dalla luna. Al bambino ora manca solo una cosa: trovare il coraggio di sedersi alla macchina da scrivere.

Per Charles Bukowski la prudenza è l’arma che l’americano middle class usa per difendersi dalla vita. Dedicando la sua anima all’arte, Bukowski sceglie la precarietà. L’immersione di questo autore nella cruda follia della realtà è travolgente, lascia storditi, ci violenta.

Per lo scrittore è veramente necessario porsi ai limiti della società descrivendo quest’ultima nella sua disarmante complessità? Per essere considerati Scrittori è quindi necessario abbandonare l’istintiva prudenza sociale proiettandosi in un mondo di opinioni coraggiose?

6 commenti:

anapana ha detto...

E' il vecchio dibattito dello scrittore impegnato rispetto a quello chiuso nella torre d'avorio. Per me, lo scrittore è quell'essere capace di cogliere i livelli più profondi del cambiamento della società, capace di viverci ed allo stesso tempo estraniarsi per osservarla.

La tua citazione mi ricorda Sartre in La nausée: " Tous ces types passent leur temps à s'expliquer, à reconnaitre avec bonheur qu'ils sont du meme avis. Quelle importance ils attachent, mon Dieu, à penser tous ensemble les memes choses!"

Anonimo ha detto...

Con questo post intendevo far riflettere sull'effettiva difficoltà di essere scrittori. Molti appaiono scrittori, altri si lasciano travolgere dal fascino che la parola racchiude. Vi sono poi degli spiriti, come quello di Bukowski appunto, che sembrano calzare a pennello l'abito dello scrittore in senso puro. La sua "forma di pazzia" lo teneva in vita, gli permetteva di "salvarsi il culo", come diceva spesso.
Il grande vantaggio di Bukowski è stato quello di aver fatto "fortuna" quando ormai stava avviandosi verso i sessanta. La fama non l'aveva castrato, la novità era il suo pane, il suo modo di affrontare la vita improvvisando. E' forse questa improvvisazione che manca a tanti altri scrittori, incatenati alla tentazione di compiacere i critici o i propri lettori. E così sfornano clichè su clichè di se stessi, specchi che riflettono i muscoli di un tempo ormai afflosciati da anni di inattività. Bukowski come altri, rifiutati inizialmente da critica e pubblico, furono obbligati a rinnovarsi pur mantenendo un loro stile, resistettero alla tentazione di adeguarsi, sconfissero la banalità. Così nascono titoli provocatori come "Taccuino di un vecchio sporcaccione" o giornali underground come Open City.
Quindi sì, per essere scrittori è necessario abbandonare la prudenza, cha lascia strisce di bava ai piedi dell'ovvietà. Raccontare l'emarginato o il ricco non ha importanza, purchè si racconti, si fotografi la realtà, e non si ingozzi il pubblico di riflessioni stantie su argomenti recuperati in cantine buie. E' questo secondo me il ruolo che lo scrittore dovrebbe adottare, soprattutto in questo periodo di "ciminiere storte", come direbbe il vecchio Hank.

NutreLaMente ha detto...

Ma mi chiedo spesso: esiste ancora questa forte forma di "censura preventiva" da parte degli editori? Esiste ancora anche nell'era dei contenuti generati dal basso, dalla gente comune? Esiste ancora negli anni in cui il successo di un'idea non è più il frutto necessariamente di studiate logiche di mercato ma, bensì, di improvvisazione, creatività "self-made" e "amatorialità"?

Detto questo, Bukowski è stato un grande perché, come fece A. Warhol, si è creato negli anni di vita un personaggio letterario che poi ha finito per impossessarsi di lui o, forse meglio, ha presentato alla gente un personaggio "da romanzo" che era nient'altro che lui stesso, reale come il bambino appena partorito.
Io ho sempre letto con grande gusto i libri di Bukowski ma mi sono sempre chiesto: da cosa si può dedurre la sua bravura? Voglio dire, nello stile? Nel lessico? In cosa? Perché ad un lettore poco attento, lo sappiamo perché è la critica più spesso mossa a Bukowski, può sembrare la scrittura di un ragazzo, di "uno qualsiasi".

Anonimo ha detto...

Purtroppo kri, le traduzioni mozzano gran parte della verve bukoskiana. Questo è vero soprattutto per le poesie,ma anche la prosa fa fatica a difendersi.
Per rispondere alla tua domanda, la grandezza di Bukowski sta nelle immagini. Leggi attentamente e rifletti sulle immagini evocate, sui colori utilizzati, sulle situazioni che anche se paradossali rappresentano fuor di metafora i nostri sentimenti quotidiani, le nostre reazioni al mondo.
Ci sono poi riflessioni, aforismi gustosi che per quanto mi riguarda, insegnano a gettare uno sguardo più attento e vero sulla realtà.

Anonimo ha detto...

bel blog
e molto bello questo quadro del vecchio c.

NutreLaMente ha detto...

Grazie davvero, malfate. Torna presto a trovarci: sarai sempre il benvenuto.